Eccentrico e dolceamaro, tra imprevisti che sfiorano il comico, beffe del destino e un umorismo travolgente, L’uomo che amava i libri celebra ciò che vi è di straordinario nella cosiddetta vita ordinaria e descrive magnificamente la brace che cova anche sotto l’esistenza più mite.
L’esistenza di Bob Comet, bibliotecario in pensione, scorre come un lungo fiume tranquillo: non ha amici, il suo telefono non squilla mai e se qualcuno bussa alla sua porta, di sicuro è per vendergli qualcosa. Da tempo Bob ha rinunciato all’idea di conoscere il prossimo, o di lasciarsi conoscere, e il suo unico modo di stare nel mondo è tramite la lettura: qualcosa di vivo, in costante movimento e perenne crescita. In quasi tutte le stanze della sua casa ci sono scaffali zeppi di volumi, nei corridoi ordinate torri di libri, ovunque romanzi ammassati. L’altro piccolo piacere che Bob si concede è camminare. Le sue lunghe passeggiate cominciano senza una meta precisa e non prevedono contatti umani. Fino al giorno in cui, entrando in un 7-Eleven, si imbatte in una donna dall’aria assente, ferma davanti alle porte di vetro dei frigoriferi. La donna è vestita come una bambina, ma da sotto il berretto le spunta una zazzera bianca e scarmigliata. Al collo ha un foglietto legato a una cordicella, con la scritta: Mi chiamo Chip, e vivo al centro anziani Gambellreed. Nel ricondurre la sperduta signora alla residenza per anziani, lo sguardo di Bob cade su un volantino in una bacheca: è un appello a fare volontariato presso quel centro. Un’occasione, per Bob, di sottrarsi all’ostinata solitudine di decenni. Ma anche, in modo del tutto inatteso, l’opportunità di riconciliarsi col suo passato e, forse, affrontare la feroce nostalgia per un amore perduto.