A più di dieci anni dal suo esordio con Divergent, Veronica Roth torna alla distopia con un mystery che esplora il ruolo sempre più pervasivo della tecnologia nella nostra società.
Quel che è giusto, è giusto.
Sonya Kantor conosce molto bene questo motto, visto che ha ispirato, meglio condizionato, gran parte della sua vita. In realtà queste parole hanno condizionato la vita di tutti gli abitanti della megalopoli di Seattle-Portland-Vancouver. Per anni, infatti, hanno dovuto adattarsi a un codice morale molto rigido e a una costante sorveglianza da parte della Delegazione, resa possibile da una sofisticata tecnologia. Poi la rivolta ha cambiato tutto. La Delegazione è stata rovesciata e sostituita da un nuovo governo. Tutti coloro che avevano avuto un ruolo nel regime precedente sono stati rinchiusi insieme alle proprie famiglie nell’Apertura, una vera e propria prigione alla periferia della città. Gli altri, finalmente liberi, hanno potuto proseguire con le loro esistenze. Sonya, figlia di uno dei membri di spicco della Delegazione e diventata famosa per essere stata, da adolescente, il volto dei manifesti propagandistici affissi per tutta la città, è imprigionata da anni nell’Apertura. Un giorno, un vecchio nemico si presenta da lei con una proposta: se troverà Grace Ward, sottratta alla famiglia dalla Delegazione quando era ancora una bambina, sarà libera. Per portare a termine la missione Sonya sarà obbligata a muoversi in un mondo che non riconosce, di cui ignora i meccanismi, estraneo (ed estremamente corrotto). E, soprattutto, a scavare a fondo nel passato, compreso quello della propria famiglia, anche più di quanto vorrebbe, portando alla luce verità dolorose e difficili da accettare.