Isabel Allende sceglie la forma diario per fare la cronaca della sua famiglia: non mancano riflessioni sull'incombere del tempo, sulla rivincita del buon senso, sulla capacità di cambiare e sul dono di sapersi guardare con ironia.
«Con una vita come la sua non è difficile comprendere le ragioni di un libro autobiografico: la realtà le fornisce personaggi incredibili ed eventi drammatici in quantità, che basterebbero da soli per diversi romanzi» – The Times
Sono gli anni che seguono la morte della figlia Paula, avvenuta nel 1992, e Isabel Allende adotta la forma diario per fare la cronaca della famiglia, faticosamente riunita in California. I ricordi si intrecciano alle riflessioni sulla vita, sulla sua opera e sul mondo contemporaneo. Due leitmotiv danno coesione all'insieme: la relazione amorosa con il secondo marito Willie e l'ansia di costituire e difendere una grande tribù familiare. Isabel tiene letteralmente insieme un clan variegatissimo e lo governa da vera matriarca. E se talora la generosità travalica in esercizio di potere, in deliberato controllo nelle altrui vite, è pur vero che da questo movimentato ritratto emergono gli indiscutibili pregi della famiglia allargata come luogo dell'affetto e della comprensione. Se le avventure della tribù e della sua “regina” la fanno da padrone, non mancano le riflessioni sull'incombere del tempo, sulle debolezze di un carattere forte, sulla rivincita del buon senso, sulla capacità di cambiare e, in ultima analisi, sul dono di sapersi guardare con ironia.