Da quand'è che la nostra principale occupazione è vendere sui social merci assortite, la più importante delle quali siamo noi stessi? Perché c'illudiamo che il nostro penzierino sul tema del giorno sia davvero rilevante per qualcuno? Quando è cominciata la fiera della vanità dei nuovi esibizionismi? Tra narcisismi quotidiani, paradossi e varie mitomanie, un esilarante viaggio nelle gallerie di specchi dell'egocentrismo contemporaneo, per cui la vera tragedia è non essere instagrammabile.
È un lavoro di precisione, il commercio del sé. Devi sapere cosa mettere in vetrina e cosa tenere nel retrobottega, quali difetti della merce occultare e quali ostentare. E che l'economia del sé non conosce tutele sindacali, rotture di stock, indisponibilità.
C'era una volta la vita privata: era il luogo in cui ti provavi vestiti e ti accoppiavi, ti lamentavi del capufficio e violavi gli arresti domiciliari, cucinavi e sanguinavi. Poi sono arrivati i telefoni con incorporato un obiettivo fotografico. «Il bello di questo secolo è che, quando pensi che il senso del pudore sia azzerato, esso ti sorprende scendendo sotto lo zero». L'esibizionismo è diventato non solo normalità, ma diritto; non solo diritto tuo a esporti, ma dovere degli altri di trovarti interessante. La nostra «presa della Bastiglia è la presa della visibilità da parte dei mediocri. L'unico eccezionalismo che tolleriamo è l'eccezionalismo di massa». Nella sua nuova indagine sulle follie contemporanee, Guia Soncini individua alcuni punti chiave di questa religione ombelicale, a cominciare dal momento in cui Chiara Ferragni ha inventato l'economia del sé e risalendo fino a Monica Lewinsky, il cui principale errore fu essere in anticipo su un tempo in cui pretendere attenzione è diritto, dovere, norma e pratica comune. Tra le ingenuità della militanza su internet e l'esibizionismo bipartisan che annulla ogni differenza anche in politica, da Calenda a Salvini, un viaggio nella livella social che rende uguali il calciatore e l'intellettuale, la influencer e la deputata, dove «la merce siamo noi, nessuno si senta escluso». Cercando una risposta alle domande che ci assillano quando siamo merce e vetrina, venditori e prodotti, illusionisti e oltranzisti della trasparenza. Certo che potremmo sottrarci al salire sul palcoscenico, ma tutti hanno una telecamera in tasca, e «se comunque finisce che mi fotografate di soppiatto voi, tanto vale pubblichi la mia vita io».