L'intensa emozione che ha attraversato l'Italia il 31 agosto 2012 alla notizia della sua morte conduce a chiedersi chi sia stato veramente Carlo Maria Martini. Fu di certo un cardinale a lungo papabile, l'arcivescovo di una delle più grandi diocesi del mondo, il presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, un biblista all'origine dell'edizione critica più accreditata del Nuovo Testamento e altre cose ancora. Ma la risposta esatta è che fu un vero uomo di Dio. Ed ecco il paradosso: proprio per questo motivo egli attrasse l'attenzione e la stima di numerosi non credenti. Questo libro riproduce il dialogo intenso e affettuoso con uno di loro, Eugenio Scalfari, tra i più lucidi e illuminati intellettuali del nostro paese. I temi toccati sono molti: la situazione morale del nostro tempo, l'unità tra cattolici e laici, l'attesa e la preparazione alla morte, l'origine dell'etica, i problemi della Chiesa, la famiglia e il divorzio, Gesù umano e Gesù divino e altro ancora. Si tratta di conversazioni che gettano le basi per una mentalità e un approccio esistenziale del tutto inediti, dove l'amore per il bene e lo sdegno contro l'ingiustizia diventano i nuovi cardini attorno a cui impostare la relazione tra credenti e non credenti. Vito Mancuso invece, dopo aver riflettuto sulla natura profonda della crisi che stiamo attraversando, in un'appassionata lettera al suo padre spirituale mette in luce come la fede non sia dottrina, ma sentimento fiducioso della vita.
La recensione di VENPRED
Eugenio Scalfari, classe 1924, è scrittore, giornalista e politico. Fra i più grandi esperti di economia Scalfari ha sempre fatto professione di laicità, lo stesso principio guida del quotidiano “La Repubblica” da lui fondato nel 1976. Carlo Maria Martini (1927-2012) è stato cardinale e arcivescovo di Milano: gesuita di formazione, è stato riconosciuto come uno dei maggiori esegeti italiani della Bibbia oltre che come un uomo di fede a tutto tondo. Leggendo questo libro, un lettore medio potrebbe chiedersi, a ragione, cos’avessero in comune due uomini tanto diversi, cosa rendesse il dialogo fra loro possibile e, in secondo luogo, fecondo. A fugare ogni dubbio interviene Vito Mancuso, che, allievo intellettuale di entrambi, nella prefazione dà ragione dell’importanza e del valore universale dello scambio raccolto in Conversazioni con Carlo Maria Martini. Secondo Mancuso infatti il punto di forza dei dialoghi fra Scalfari e Martini è insito proprio in quell’eterogeneità - rappresentativa di un mondo, del nostro mondo – che li caratterizzava: a dire che, sebbene l’uno fosse membro della Compagnia di Gesù e l’altro seguace dell’Illuminismo francese, difensore della tradizione l’uno, fautore della modernità l’altro, Martini religioso e Scalfari non credente, ciò non ha impedito loro di impostare una discussione alla cui base vi fossero il rispetto reciproco, la stima e l’amore (inteso nel senso più ampio e profondo del termine). Al di là delle singole questioni dunque il vero insegnamento dello scambio fra Scalfari e Martini sta nella modalità stessa delle conversazioni: un ‘metodo’ valido per qualsiasi tipo di confronto chiunque siano gli interlocutori, anche i più lontani fra loro come in questo caso. Oggetto dei cinque incontri, avvenuti fra il 1996 e il 2011 e confluiti nel libro, sono i temi più attuali e scottanti, dall’egoismo dominante nella società contemporanea all’indebolimento della morale, dalla lotta contro l’ingiustizia al ruolo del Papa nella Chiesa, fino all’avvento della tecnoscienza e altro ancora. Tuttavia, al centro del discorso restano le grandi questioni su cui da sempre si interroga l’umanità: la fede e la sua possibilità, e la morte. L’immensa libertà di cui disponiamo in quanto cittadini del terzo millennio produce infatti un doppio movimento, speculare e opposto, poiché, se da un lato assistiamo a un proliferazione dell’offerta religiosa, dall’altro l’ateismo sembra dilagare in maniera consistente. In altre parole: l’incessante richiesta di risposte cui anela l’uomo moderno è indice della possibilità di credere nell’indimostrabile o è solo il frutto della necessità di acquietare la paura della morte mediante costruzioni pacificanti? Il confronto che ne scaturisce è senza dubbio serrato, non potrebbe essere altrimenti considerate le posizioni antitetiche da cui partono i due interlocutori. D’altra parte che Scalfari e Martini abbiano fatto un uso diverso delle loro conversazione è innegabile ma, nonostante la ragione non sia mai venuta meno, ciò che più conta è “la passione di entrambi per il libero esercizio del pensiero”, quell’“arte del dialogo amorevole” e quel profondo senso di umanità che ne hanno reso possibile l’incontro.