"Storia della mia gente" racconta dell'illusione perduta del benessere diffuso in Italia. Di come sia potuto accadere che i successi della nostra vitalissima piccola industria di provincia, pur capitanata da personaggi incolti e ruspanti sempre sbeffeggiati dal miglior cinema e dalla miglior letteratura, appaiano oggi poco più di un ricordo lontano. Oggi che, sullo sfondo di una decadenza economica forse ormai inevitabile, ai posti di comando si agitano mezze figure d'economisti ispirate solo dall'arroganza intellettuale e politici tremebondi di ogni schieramento, poco più che aspiranti stregoni alle prese con l'immane tornado della globalizzazione. Edoardo Nesi torna con un libro avvincente e appassionato, a metà tra il romanzo e il saggio, l'autobiografia e il trattato economico, e ci racconta, dal centro dell'uragano globale, la sua Prato invasa dai cinesi, cosa si prova a diventare parte della prima generazione di italiani che, da secoli, si ritroveranno a essere più poveri dei propri genitori.
Edoardo Nesi, nato nel 1964 e nipote di Temistocle e Omero Nesi, era erede e proprietario del Lanificio T.O. Nesi & Figli SpA, l’azienda tessile della sua famiglia. Nel settembre del 2004, insieme al padre Alvarado e al cugino Alvaro, tutti d’accordo, vendettero la ditta. «Quando cedi un’azienda, – scrive Nesi – vendi anche la sua storia». E in queste pagine, con scrittura agile e appassionata, ce la racconta.
È la storia di una piccola industria tessile italiana divenuta grande, della gente di Prato che in tutta la vita non ha fatto altro che lavorare, del benessere creato da quella attività nella provincia italiana del dopoguerra. Un capitalismo familiare, che aveva una sua moralità, capace di «trasformare gli stracci in buoni tessuti» e «che aveva trasportato tutti, capaci e incapaci, industriali e dipendenti, ben oltre i loro limiti». Anni trascorsi tra telai e viaggi in Germania con la Merceds del padre, tra ordini inviati via telex, grandi produzioni di coperte prima, cappotti loden e paltò velour poi. Quello scelto da Nesi non era un lavoro che facesse un grande effetto alle persone, ma era un mestiere molto redditizio, se fatto bene, con impegno, serietà e rispetto per le persone. E dava da lavorare e da mangiare a molte famiglie toscane della zona. Erano gli anni ’60 e ’70 del successo del distretto del tessile pratese e di tutto il suo indotto. Poi, dall’inizio del 1990, con la globalizzazione dei mercati e la concorrenza cinese, cominciò la lenta e inesorabile crisi, il disfacimento di un sistema industriale.
Nesi, che con i suoi libri si inserisce nella tradizione della letteratura industriale italiana, racconta con struggente malinconia il collasso di quel mondo, come un crudo resoconto, fino alla cessione della ditta: una narrazione sospesa fra il reportage giornalistico e le pagine letterarie. In questo libro troviamo sia la storia di una comunità che quella personale dell’autore: la sua passione per la scrittura, per la letteratura americana e in particolare per Francis Scott Fitgerald e David Foster Wallace, le estati ad Harvard in gioventù, il rapporto con la figlia adolescente, le serate a Forte dei Marmi a guardare i tramonti rossi sulle Alpi apuane. Si assiste così, affascinati da questa prosa avvolgente ed elegante, alla fase terminale della storia della piccola imprenditoria tessile italiana, degli artigiani, di una città intera, sotto i colpi dei prezzi ribassati, imposti dalla stretta ferrea del mercato. In una Prato boccheggiante, si conclude lo sviluppo miracoloso di tante aziende e si chiude un’epoca. Nesi dà voce alla rabbia, agli umori anti-elitari dei piccoli e dei medi imprenditori, molto diffusi nell’Italia di oggi, di coloro che si sono sempre sentiti altra cosa rispetto all’establishment industriale italiano. «Questa è la storia della mia gente - conclude Nesi - non solo degli stracciaroli di Prato, ma di una provincia felice e intelligente, sacrificata alla globalizzazione».
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